👉 Puoi seguire il PodCast “Orizzonti” su Spotify o Apple Podcasts.
Oggi voglio condividere con te una riflessione che spesso mi torna in mente quando pubblico un video di editing fotografico. Potrebbe sembrare polemico, ed il titolo non mente, pertanto mettiti comodo o comoda.
Non so se ci hai mai fatto caso, ma ogni volta che si parla di post-produzione, spunta fuori qualcuno pronto a criticare pesantemente le scelte stilistiche, o addirittura a contestare il semplice fatto di voler editare una foto. È una dinamica che vedo non solo nei miei contenuti, ma anche in quelli di tanti colleghi.
Questa rigidità nel pensiero mi ha sempre incuriosito e mi ha portato a riflettere a fondo su quali siano le vere motivazioni dietro tali critiche. Spesso, chi si oppone all'editing in maniera così netta lo fa perché ha un'idea romantica e idealizzata della fotografia, come se lo scatto originale fosse sempre e comunque la verità assoluta. Ma la fotografia è sempre un’interpretazione, influenzata da scelte personali e tecniche.
Ad esempio, ricordo un confronto con un fotografo che sosteneva che il bianco e nero fosse più "puro" del colore, ignorando il fatto che già questa scelta è una manipolazione della realtà. Oppure penso a chi rifiuta qualsiasi ritocco perché "falsifica l'immagine", dimenticando che anche lo sviluppo di una pellicola in camera oscura prevedeva aggiustamenti e correzioni. Questo atteggiamento, più che una difesa della purezza fotografica, spesso nasconde insicurezza o una resistenza al cambiamento.
Di seguito il mio ultimo video sull’editing di una foto.
Se questa è la prima volta che leggi questa mia newsletter allora forse ti sei perso gli episodi precedenti, trovi l’archivio completo cliccando qui.
Fino a che punto è accettabile l’editing?
C’è chi è convinto che la fotografia debba essere una rappresentazione fedele della realtà, e quindi qualsiasi modifica in post-produzione sia da condannare. Ma questa visione non regge, perché la fotografia non è una trascrizione oggettiva della realtà, bensì una sua interpretazione. Ogni scatto è influenzato da vari fattori: esposizione, composizione, scelta dell’obiettivo, gestione del colore, illuminazione. Tutti questi elementi determinano la percezione dell’immagine.
Molti accettano un certo grado di editing "fino a un certo punto", senza però saper definire quale sia questa soglia.
Alcuni tollerano solo correzioni di esposizione e bilanciamento del bianco, ma trovano inaccettabile la rimozione di elementi indesiderati o l’aggiunta di effetti creativi. Tuttavia, ci sono immagini con modifiche minime che appaiono artificiali e ritoccate male, mentre altre con interventi pesanti risultano armoniose e convincenti. Questo dimostra che il confine non è una regola fissa, ma dipende dalla qualità dell’intervento e dall’intenzione comunicativa del fotografo.
Il rifiuto del cambiamento e la paura della competizione
Dopo anni passati a leggere commenti, discussioni sui forum e interagire con fotografi di ogni livello, ho notato un pattern ricorrente: spesso chi critica l’editing fotografico in maniera rigida ha scarse conoscenze della post-produzione, è alle prime armi o semplicemente non ha voglia di imparare a usare un software. Magari perché lo trova complicato, oppure perché fino a poco tempo fa portava le pellicole in studio e delegava tutto a qualcun altro.
Ma più di tutto, si tratta spesso di una paura del cambiamento, di una resistenza all’evoluzione tecnologica e artistica.
Credo che molti di coloro che criticano l’editing lo facciano perché si rendono conto di essere fuori dalla competizione.
La fotografia, come ogni forma d’arte e di tecnologia, evolve. Oggi non basta avere una fotocamera moderna: servono anche le competenze per sfruttare gli strumenti a disposizione. E questo richiede tempo, studio e talvolta investimenti.
Se un tempo bastava inquadrare e scattare, oggi chi vuole emergere deve avere una padronanza sia tecnica che creativa di tutto il processo, dall’acquisizione alla post-produzione.
Il pretesto degli strumenti e il confronto con altri ambiti
Piuttosto che accettare questa realtà e aggiornarsi, molti preferiscono dare la colpa agli strumenti. Questo atteggiamento non è esclusivo della fotografia: lo vediamo anche nella musica, dove alcuni criticano chi utilizza sintetizzatori o software di produzione avanzati invece di strumenti acustici, o nel cinema, dove c'è chi denigra la CGI rispetto agli effetti pratici.
In ogni ambito artistico e tecnologico, chi rifiuta di evolversi spesso tende a screditare le innovazioni piuttosto che adattarsi e sfruttarle a proprio vantaggio.
Il vero atteggiamento per crescere
Questo modo di pensare è tossico. Dobbiamo smettere di guardare una foto che ci colpisce solo per trovare conferme alle nostre convinzioni o giustificazioni per le nostre mancanze.
Io stesso, a volte, cado in questa trappola mentale.
Ma la verità è semplice: se una foto ci piace, ammettiamolo e basta. Invece di cercare difetti, proviamo a capire come è stata realizzata e cosa possiamo imparare. Ogni immagine di grande impatto è frutto di un processo creativo, e criticare senza comprendere significa precludersi ogni possibilità di crescita.
Magari quel tipo di editing non fa per noi, e va benissimo così. Per esempio, so realizzare gli effetti di Nicolò Talenti o di Nico Ruffato, ma non mi appartengono, non li sento miei. Ciò non significa che debba denigrarli o sminuirli. Posso apprezzarli, studiarli e magari integrare qualche aspetto nel mio stile senza per questo snaturarmi.
La situazione diventa ancora più grave quando, invece di ammirare chi è più bravo di noi, cerchiamo di sminuirlo per sentirci migliori. È come se, in una corsa campestre, cercassimo di far inciampare chi ci sta superando invece di allenarci per migliorare il nostro tempo.
Chi cresce davvero non perde tempo a sabotare gli altri, ma si concentra su come migliorarsi. Non è abbassando chi è sopra di noi che cresciamo.
Se vogliamo davvero migliorare, dobbiamo abbracciare l'apprendimento continuo e la sperimentazione. Ogni nuova tecnica, ogni tentativo, anche se inizialmente fallimentare, è un passo avanti nella nostra crescita.
Guardiamo chi è più bravo di noi con curiosità e voglia di imparare, invece di lasciarci bloccare dall'invidia o dalla paura del cambiamento. L’unico modo per migliorare è puntare sempre più in alto, superando i nostri limiti e apprendendo da chi sa fare meglio di noi.
Solo con un atteggiamento aperto e curioso possiamo davvero evolverci, sia come fotografi che come persone.
3 GADGET CONSIGLIATI
Io faccio spesso escursioni fotografiche, ma mi piacciono anche i segnatempo (detti anche “orologi”) meccanici. Ecco quelli che mi sento di consigliarti, automatici, per l’abbinamento ad una vita “wild”, sotto i 350 €.
Acquistando tramite questi link consigliati, contribuisci a sostenere il mio progetto: ricevo infatti una piccola percentuale (circa l'1%) sul valore dell'acquisto, senza alcun costo aggiuntivo per te.
Grazie Alessio, condivido a pieno le tue considerazioni e le applico da anni.
Chi scatta per lavoro, ma anche no, se scatta in raw è obbligato ad apportare qualche aggiustamento.
Credo comunque che lo scatto debba essere sempre "ragionato", intendo inquadratura ed esposizione.
Ciao Alessio, hai spiegato molto bene una serie di concetti e idee che mi frullano nella mente da tempo e condivido quello che asserisci. Importante secondo me è darsi un obiettivo (non in senso attrezzatura ahahaha) ma per ideare e realizzare un progetto che mi sta a cuore, cosa peraltro difficile per un amatore, ma ci si prova. Se per realizzare questo progetto devo utilizzare strumenti di postediting è giusto. Importante secondo me è non utilizzare detti strumenti per ottenere delle immagini standard, seguendo schemi e idee magari belle ma impersonali (esempio: se fotografo una cascata deve vedersi il moto dell'acqua con tempi lenti), invece di seguire le proprie idee. Marco G